Xenofobia è un termine spesso associato al fenomeno delle migrazioni. Il dizionario Treccani lo definisce “Sentimento di avversione generica e indiscriminata per gli stranieri e per ciò che è straniero, che si manifesta in atteggiamenti e azioni di insofferenza e ostilità verso le usanze, la cultura e gli abitanti stessi di altri paesi”
Nel termine troviamo la parola greca xenòs, che significa straniero, forestiero, ma anche “ospite”, inteso sia come il soggetto che ospita che quello ospitato. Nell’antica Grecia la xenìa (ξενία), intesa come vincolo di reciproca ospitalità, era radicata nella cultura e nella vita quotidiana dei cittadini: venivano accolti tutti, persino gli stranieri di cui non si conosceva nulla. Pertanto la parola assume anche il significato di “accoglienza”, “rispetto”, “attenzione”, “amicizia” e “generosità”.
L’ospitalità per i greci era un concetto sacro, perché si pensava che gli dei avrebbero potuto assumere sembianze umane e chiedere ospitalità proprio per verificare che gli ospiti fossero sempre trattati bene, altrimenti si sarebbe scatenata la collera divina sull’ospitante. Zeus era chiamato anche con l’epiteto di Xènios, cioè colui che protegge i viandanti e garantisce la pratica della xenìa.
Quindi diventava quasi un obbligo religioso offrire ospitalità ai viandanti, i quali a loro volta avevano la responsabilità di ripagare il trattamento che gli era stato offerto.
L’ospitalità infatti prevedeva un vero e proprio codice di regole di comportamento: il padrone di casa doveva accogliere chiunque si presentasse alla sua porta, senza porre alcuna domanda fino a che l’ospitato non lo avesse permesso e comunque mai prima di avergli offerto vino e cibo, inoltre doveva fornirgli la possibilità di lavarsi e di indossare vesti pulite. La xenìa prevedeva infine la consegna da parte del padrone di casa di “un regalo d’addio” all’ospite. L’ospite accolto in casa doveva essere gentile e non invadente ed eventualmente presentarsi con un dono. Entrava a far parte della comunità che lo ospitava, e veniva trattato come un familiare. Chi contravveniva a queste regole di ospitalità, si poneva al di fuori della comunità e della vita civile.
Il fatto che ci fosse un unico termine usato sia per indicare uno straniero che per indicare la condizione di ospitante e ospitato, ci fa capire che per i Greci ogni uomo aveva il dovere di accogliere chiunque si presentasse nella propria casa perché lui stesso poteva ritrovarsi prima o poi nella condizione di dover lasciare la propria terra. In altre parole, in Grecia, la culla della nostra civiltà, l’ospitalità rappresentava un legame di solidarietà che teneva uniti gli uomini nella diversità.
E che l’uomo sia naturalmente un migrante ce lo dimostra la storia stessa fin dalla sua comparsa sulla terra. “Quella di homo sapiens è una storia fatta essenzialmente di spostamenti e di migrazioni – a partire dall’Africa, la nostra comune madre […], con la marcia inesorabile e necessitata dal contesto ambientale (ma, come sappiamo, affetta anche da radicale contingenza) verso l’occupazione sistematica dell’intero pianeta. Un pugno di umani partiti dal corno d’Africa ha letteralmente conquistato il pianeta, ma lo ha fatto spostandosi di continuo, migrando – mossi da pressioni ambientali, climatiche, ecosistemiche, ma anche da curiosità e desiderio di esplorare nuove terre e possibilità. Dunque homo sapiens è specie costitutivamente migrante, e lo ha fatto fin dalle origini e probabilmente continuerà a farlo”
(da Il volto e il corpo dell’altro – 2. Stranieri, xenìa e homo migrans, di md, in La Botte di Diogene – Blog filosofico)
Foto di Mikhail Nilov